A qualche giorno dall”ingresso in campo delle prime mietitrebbie per la raccolta del colza, seguono di pari passo anche le relative considerazioni circa l’andamento della campagna di questa oleaginosa che nelle Marche è coltivata in circa 2 mila ettari.
La primavera eccezionalmente piovosa ha certamente influito sulle produzioni, così come le recenti limitazioni all’uso di fungicidi e limacidi hanno rappresentato senza dubbio un ostacolo.
Le rese sembrano essere altalenanti, complice anche il maltempo che ha colpito a macchia di leopardo il territorio regionale. Pur essendo ancora presto per fornire un dato medio della produzione, la tendenza sembrerebbe quella di un annata non particolarmente generosa. Abbastanza rari gli appezzamenti con raccolte superiori ai 30 quintali ad ettaro, più comuni le situazioni con rese sui 20 quintali. Da segnalare in molti casi la presenza di patologie fungine, rese ancor più evidenti dalla fuliggine che ricopre le macchine di raccolta una volta uscite dalle operazioni in campo.
Unico dato certo è la sempre maggiore specializzazione richiesta agli agricoltori che optano per questa coltura, più delicata e complessa nella gestione rispetto ai tradizionali cereali ma fondamentalmente per garantire un’alternativa nei piani di rotazione.
Dal colza, come noto, si ottiene un olio destinato principalmente all’industria chimica per la fabbricazione di biodiesel e lubrificanti, ma trova spazio anche nella cosmetica e nell’industria alimentare per la produzione di margarina o prodotti da forno. In alcuni casi è impiegato anche come farina per la zootecnia.
“Merita attenzione anche sotto il profilo paesaggistico – ricorda Alessandro Bettini, amministratore dell’azienda agricola Fenice di Senigallia con 40 ettari coltivati a colza e vicepresidente di Confagricoltura Ancona – ed è una coltura che, insieme al grano duro e al girasole, rientra in quell’idea di identità paesaggistica marchigiana”.