Dal basso fabbisogno idrico e ideale per le coltivazioni in collina, il cece è uno dei legumi più antichi coltivati dall’uomo. Le origini della pianta, appartenente alla famiglia delle Fabacee, risiedono nei caldi territori di Mesopotamia e Egitto, in grado di resistere a terreni aridi e clima caldo, mentre i suoi frutti, i ceci, sono noti per le loro qualità proteiche.

In Italia, nel 2023, sono stati 14. 227 gli ettari di cece coltivati, un dato distante dai 110 mila ettari che ne venivano coltivati nel secondo dopoguerra ma che, comunque, segna un trend stabile e positivo se si guarda alla tendenza degli ultimi anni. Dal 2016 al 2023 infatti, la curva gaussiana del cece coltivato assume una forma a campana, con un picco nel 2018, quando gli ettari coltivati sono stati 26.024. Poi un tracollo dovuto ad annate tanto piovose da compromettere la qualità del prodotto. Dai 14. 068 del 2022, quest’anno il trend è iniziato lentamente a risalire, confermando l’interesse al prodotto da parte di un mercato alla ricerca di cibi proteici e sani, in linea con le attuali tendenze alimentari. Nelle Marche gli ettari coltivati a cece quest’anno sono stati 116, quasi il doppio rispetto ai 58 dello scorso anno, per una resa media di 18 quintali ad ettaro.

Ora, ad aumentarne la coltivazione potrebbe essere la nuova Pac che, dal 2024, imporrà come noto ai cerealicoltori la rotazione annuale delle colture. Grazie alle sue caratteristiche, il cece potrebbe rivelarsi un ottimo alleato per suolo e fertilità. Ma come funziona, a livello agronomico, la sua coltivazione?

Dalla semina alla raccolta
Ne abbiamo parlato con Fabio Montesi, tecnico agronomo della Valfrutta che si appoggia sul Consorzio Agrario di Ancona per la semina, il raccolto ed il ritiro del cece marchigiano nelle province di Pesaro, Ancona e Macerata. “Tutto inizia dalla scelta della varietà in base alla destinazione, che sia da seme o da alimentazione” – spiega. “Non esistono varietà registrate a livello regionale, quindi vengono utilizzati semi comuni”. Le principali varietà sono tendenzialmente Pascià, Cicerone, Alamo e Lambada. Scelta la destinazione, l’attenzione si sposta al terreno. “L’azienda deve preparare il letto di semina, che deve essere ben affinato per evitare gli stalli di acqua. Dopo l’affinatura, l’arricchimento del suolo con un fondo di fosforo apportato da apposita concimazione”. Si prosegue così con la semina di precisione che permetterà di posizionare il seme tutto alla stessa profondità, a circa 3 cm. Un investimento ottimale “vedrebbe una distanza tra le file di 50 cm x 6,5. 32 semi al metro quadro dai quali si otterranno dalle 25 alle 27 piantine”.

Tra le principali avversità che potrebbero compromettere il ciclo di coltivazione, l’eccessiva umidità ed un terreno stagnante. “Per questo si predilige l’ambiente collinare, più arieggiato e non esposto a stalli idrici. Le piante richiedono poca umidità e non hanno bisogno di essere irrigate: all’intero ciclo di crescita basterebbero 450 ml di acqua”. Ragion per cui, si adatta bene alle temperature sempre più alte dei cambiamenti climatici in atto, benché l’eccessiva umidità, come dimostrato negli ultimi 10 anni, è comunque in grado di causare gravi danni alle coltivazioni che vengono facilmente colpite da muffite in presenza di ambienti eccessivamente umidi. Dalla semina effettuata dai primi di febbraio alla fine marzo, la raccolta avviene nella stagione estiva, generalmente dal 15 luglio al 15 agosto. Il prodotto si raccoglie con una mietitrebbia da grano con le apposite regolazioni e viene poi consegnato ai centri di stoccaggio come il Consorzio di Ancona, un punto di riferimento importante quest’ultimo, per il cece prodotto nella regione, con un bacino di raccolta che comprende tutta la provincia di Ancona, ma anche Pesaro, Macerata e Rimini.

Valido alleato della nuova Pac
Quasi un anno fa, il primo gennaio 2023, entrava in vigore la nuova Politica Agricola Comune, nota come Pac. Per i cerealicoltori in particolare, essa ha stabilito tre nuove norme per poter accedere ai sostegni previsti: il divieto di bruciatura delle stoppie, il 4% di terreno lasciato incolto e l’obbligo di rotazione delle colture, norma, quest’ultima, che entrerà in vigore dal 2024. Una misura volta ad aumentare la biodiversità e migliorare la fertilità del suolo che però, costringe l’agricoltore ad alternare di anno in anno la specie da piantare. In una regione come quella marchigiana dove la maggior parte degli agricoltori pianta grano o girasole, il cece che “lascia poco residuo e soprattutto apporta grandi quantità di azoto al terreno” come spiegato da Montesi, potrebbe essere così il valido alleato di un impianto aziendale. Una “coltura da rotazione, seguita l’anno successivo, come spesso viene consigliato, dalla coltivazione del grano”.