Dagli anni 70 in poi un lento ed inesorabile degrado culturale (non colturale) si è inserito nella società in genere e nella politica in particolare. Ma veniamo ai nostri problemi agricoli sui quali tutti, e dico tutti, discettano con dovizie di particolari dal glifosate all’agricoltura biologica, dall’impatto ambientale degli impianti di biogas alle fonti di energia “pulita”, dai prodotti agricoli “naturali” a quelli convenzionali, ecc. come se ogni cosa fosse alternativa e/o peggiore di quella seguente. Mentre in realtà potrebbe non essere alternativa e, magari, addirittura migliore. In base a cosa il glifosate utilizzato in maniera corretta (ad esempio in febbraio sulle maggesi) sia peggiore del rame utilizzato (magari in maniera un po’ disinvolta) in agricoltura biologica? Chi stabilisce che un impianto di biogas che utilizza mais entro un raggio di 5 chilometri per fare biometano abbia un impatto ambientale negativo rispetto ad un impianto fotovoltaico (tra l’altro costruito con materiale cinese) che si vede financo dalla Luna? Che significato migliore può avere il termine “prodotto naturale” oltre che evocativo e “politicamente corretto” rispetto a “prodotto convenzionale” dove convenzionale si intende derivato da agricoltura effettuata secondo le tecniche e regole universalmente riconosciute?

In sintesi troppo spesso si parla di agricoltura moderna senza conoscerne bene il significato creando un’opinione pubblica distorta che influenza la politica che, nella foga della ricerca del consenso, ora demonizza la Cattaneo, dopo averla fatta Senatore a Vita; ora incensa la biodiversità quando qualsiasi filiera alimentare ha necessità di prodotti agricoli riproducibili negli anni con caratteristiche organolettiche e chimiche standardizzate; ora esalta la pasta integrale fatta a pietra a patto che le ceneri non superino i 180mg/ kg (o giù di lì…); per non parlare dei “leggendari” grani antichi (nel senso di qualche anno fa… vedi il grano Cappelli) “migliori” in quanto poveri di glutine, ma poi lamentarsi se la pasta che ne deriva non “tiene” la cottura, e così via. Tale credenze che si stanno diffondendo, contraddicono decenni di evoluzione culturale basata sul razionalismo e la sperimentazione. Probabilmente ciò è dovuto ad un nuovo modo di fare comunicazione, ad un nuovo modo di esprimersi dove è molto facile trovare “un pulpito” da cui manifestare le proprie opinioni a tutti. Considerando poi, che coloro che parlano con cognizione di causa sono, quasi sempre, una netta minoranza, la cultura viene sovrastata dall’ignoranza; la qualità dalla quantità; il “sentito dire” dai dati di fatto. È chiaro che il pulpito siano i cosiddetti “social” e se la tecnologia ha favorito la circolazioni delle idee, ha anche diffuso le credenze per verità.

In una società dove ci si esprime per “faccine” piuttosto che per concetti (ritornando ai geroglifici egizi…) diventa problematico riuscire a distinguere il vero dal falso. Comunque, tutto ciò funziona così bene e si diffonde efficacemente: in un certo senso la tecnologia ha permesso di rimettere in moto dinamiche tribali, tipiche della cultura umana primitiva, dove le storie di spiriti ed entità misteriose, raccontate attorno a fuoco, funzionavano benissimo e tanto più fantasiose ed orrifiche erano, tanto più l’attenzione del gruppo veniva catalizzata.

I gruppi “social” per quanto aperti a tutti si muovono sulle dinamiche del gruppo ed allo stesso ci si rivolge, e tanto per rimanere in tema rurale, ci si esprime in un qualcosa di simile alle storie raccontate nelle stalle, la sera, prima dello sviluppo industriale del dopoguerra. Certamente il terreno dell’agroalimentare e dell’ambiente dove diffondere sospetti o paure non potrebbe che essere il migliore. Ma soprattutto fertile per generare preoccupazione e trovare consenso con teorie fantasiose; in particolare parlare di cibo (o di cucina) fa diventare, sic ed simpliciter, esperti nutrizionisti, fisiologi dell’avvenire e intercettatori di energie positive che dal creato veicolano attraverso il cibo ed innescano un percorso escatologico…

Secoli di ricerche scientifiche annullati da superstizioni che sembravano dimenticate, diete salvifiche che purificano lo spirito (e generano forti scompensi alimentari), recupero di pratiche agricole abbandonate dal paleolitico (la semina dei cosiddetti miscugli), ricette improbabili e cibi minimalisti. Poi, comunque, per moltiplicare l’effetto ed elevarsi al rango di “influencer”, è indispensabile trovare un nemico da demonizzare: l’Agricoltore, che ancora continua a fare il suo onesto mestiere e non ha riscoperto qualche misteriosa varietà antica da coltivare con metodo biodinamico. Nemica è l’industria alimentare che avvelena i popoli e fa profitti. Nemici sono coloro che tutti i giorni riempiono i banchi dei supermercati, impedendo ai consumatori di approvvigionarsi direttamente per le campagne felici, dove tutti gli agricoltori sono in attesa di poter vendere direttamente il frutto del proprio lavoro. A pensarci bene si evoca un po’ lo scenario del periodo della tessera annonaria, quando tra orti di guerra urbani si ricercava qualcosa con cui sfamarsi; gli abitanti delle città si recavano nelle campagne a cercare i “prodotti della tradizione” …

Forse saremo esagerati, ma se per poter arrivare ai primi posti della classifica dei Bandi del Piano di Sviluppo è imperativo coltivare le more od allevare bestiame in via di estinzione, è ovvio, che anche chi deve decidere viene influenzato da un’opinione pubblica più “social” che reale. Se viene incentivata un’agricoltura da presepio demonizzando un impianto di biogas od un allevamento avicolo forse un problema lo abbiamo. Sinceramente ci siamo un po’ scocciati di far rilevare sempre le stesse cose con le stesse parole (senza voler parafrasare Venditti), senza un reale risultato iniziamo a pensare che o ci spieghiamo male o non veniamo capiti! Comunque sia, dopo un breve turbamento iniziale per non essere stati invitati al “Patto per la Ricostruzione e lo Sviluppo”, tutto sommato, riteniamo di essere stati fortunati: non ci potranno accomunare con chi confonde gli stanziamenti delle risorse con la ricostruzione già fatta.

Alessandro Alessandrini e C.